Piazza Don Luigi Vesco
Concepita dell’architetto e ingegnere regio Carlo Andrea Rana (1715 – 1804), la chiesa parrocchiale di Strambino, intitolata ai santi patroni Michele e Solutore, rappresenta uno dei progetti più arditi nella costruzione di chiese nel Piemonte di tardo Settecento. Dopo aver valutato altre ipotesi progettuali, tra le quali le proposte di Bernardo Antonio Vittone di riedificare sul sito della vecchia e cadente San Solutore nel cimitero, poco fuori dall’abitato, la comunità di Strambino affidò l’incarico a Rana, potendo contare sul ricco lascito del mercante Giuseppe Innocenzo Gallinotti, già tesoriere della Compagnia del Santissimo Rosario, custode della veneratissima statua della Vergine, di cui ogni secolo si celebra la solenne incoronazione. La prima pietra fu posta il 31 maggio 1764, inaugurando un lungo e complesso cantiere che si sarebbe protratto a fasi alterne per almeno vent’anni e oltre. Benedetta il 30 novembre 1780, la chiesa poteva allora già considerarsi funzionante, ma ancora da ultimare nelle rifiniture e negli arredi interni. Nel 1786 la cappella del Rosario accoglieva la statua della Vergine del Rosario e nel 1812 veniva inaugurato il magnifico organo costruito dai fratelli Serassi di Bergamo, di seguito ulteriormente ampliato a comporre uno degli strumenti più importanti in Piemonte (nel 2019 se ne è inaugurato il restauro). L’edificio sorge su una pianta longitudinale, articolata in una sequenza giustapposta di spazi di diverso impianto (vestibolo rettangolare, aula ellittica, cappelle laterali semiovali, coro-presbiterio circolare e cappella sopraelevata ottagonale) scenograficamente aperti l’uno sull’altro e culminanti nello spettacolo luminoso della cappella sopraelevata della Madonna del Rosario, secondo un modello tipologico che si richiama direttamente alla cappella del Santo Sudario di Guarino Guarini a Torino. Concepita nel solco della tradizione della “architettura aperta” piemontese inaugurata agli inizi del Settecento dalle ricerche del Primo architetto di corte, Filippo Juvarra, la chiesa di Strambino sorprende per l’ampio respiro della spazialità interna (la volta dell’aula, vasta e slanciata, straordinariamente leggera nella struttura a costoloni, è di un’audacia pressoché ineguagliata nel Piemonte di allora), dove la parete è scavata alla ricerca della luce, a contrasto con la massiccia mole esterna in mattoni a vista. Gli altari marmorei, opera di maestranze luganesi secondo le precise istruzioni dell’architetto, impreziosiscono l’interno, insieme alle tante opere d’arte che la chiesa custodisce, tra cui i dipinti di Vittorio Amedeo Rapous e Giovanni Domenico Molinari, gli affreschi di Lorenzo Peracino, le sculture di Stefano Maria Clemente, i bassorilievi di Giovanni Battista Bernero e gli stucchi di Antonio Papa e Giovanni Battista Sanbartolomeo.
[R.C.]