L’antica chiesa era già dotata di organo almeno dai primi anni Quaranta del Seicento; da una Visita pastorale del 1651 sappiamo che era posizionato «… a latere Epistolae». Lo strumento, opera dell’organaro torinese Giovanni Stefano Ochetta, era «… di Otto Piedi con sette Reg.ri, et il Mireut in tutti li Reg.ri», munito di «… una Testadura di Busso di Tasti quarantaciq. … un Pedale di quatordeci Tasti …». Nel 1721 l’organaro torinese Giuseppe Calandra (1668-1748) ricostruisce lo strumento e aggiunge i Contrabassi.
L’organo subisce uno spostamento e forse un ampliamento nel 1733, nel corso dei lavori di riassetto generale della chiesa; lo si apprende da una informativa per la Visita pastorale del 1767, nella quale lo strumento risulta posizionato in controfacciata.
Il nuovo, imponente edificio sacro è sostanzialmente terminato nell’ottobre del 1786 col definitivo trasferimento della statua della Madonna del Rosario nella nuova chiesa, ma i lavori accessori di finitura e addobbo andranno avanti fino all’anno 1791. A compimento dell’intera costruzione resta l’organo per il quale il Rana nel 1789 aveva disegnato e realizzato una raffinata ed elegante cantoria posta in controfacciata.
Il lungo iter progettuale per il nuovo strumento inizia presumibilmente già dai primi anni Novanta; la fase preliminare di studio è avviata in collaborazione con l’organista valsesiano, Maestro di Cappella della cattedrale di Ivrea, Gaudenzio de Regibus, senza coinvolgere direttamente commenda e fabbriceria. La ragione di tale scelta è riconducibile alla scarsa fiducia – per usare un eufemismo – tra mons. Giuseppe Ottavio Pochettini conte di Serravalle, vescovo di Ivrea e l’avvocato don Giovanni Battista Pistono, commendatore della parrocchia strambinese. Il progetto fonico messo a punto nella primavera del 1795 si avvale, oltre all’opera dell’organista valsesiano, quasi certamente, della preziosa collaborazione dell’organaro bergamasco Giuseppe ii Serassi (1750-1817). Troppe sono le analogie con le più recenti invenzioni introdotte nella produzione serassiana, per essere considerate solo frutto del caso o della pur notevole esperienza del de Regibus.
La fabbriceria strambinese, profondamente legata alla casa sabauda, non ha intenzione di avvalersi di organari stranieri e intende affidare i lavori a Gioachino Concone (1754-1825) «organaro e cembalaro di Cappella, e Camera di S.R.M». All’organaro torinese viene fornito il progetto ideato dal de Regibus sotto forma di Istruzione alla quale attenersi per la redazione di un preventivo di spesa. Nonostante il progetto focalizzi uno strumento lontano dalla tipologia da lui praticata, il Concone – anche in considerazione dell’imponenza della commissione e del prestigio della committenza – si dimostra disponibile e collaborativo. Alla stringente Istruzione ricevuta, contrappone una precisa serie di Osservazioni miranti da un lato a chiarire il suo modello d’organo di riferimento, dall’altro a contestare impostazioni foniche e soluzioni meccaniche lontane dal suo ideale, ancora strettamente legato al classicismo settecentesco praticato a quell’epoca nell’intero territorio sabaudo.
Alla lunga questione si arriva a una sintesi il 6 marzo 1796 con la consegna da parte del Concone di 2 progetti (il maggiore dei quali prevede uno strumento a 3 tastiere, 50 registri corrispondenti a oltre 2.350 canne) che recepiscono solo in parte le precise richieste del progetto iniziale fornito dalla fabbriceria strambinese. Le truppe napoleoniche ai confini dello Stato in veloce avvicinamento alla capitale, imporranno a tutti ben altre preoccupazioni e nuove priorità; dell’organo se ne riparlerà nel nuovo secolo.
Stabilizzata la situazione politica e ristabilite le necessarie condizioni finanziarie, all’inizio del 1807 torna di attualità il progetto per il nuovo organo. Due lustri hanno consentito il fisiologico ricambio generazionale; di tutti i personaggi precedentemente coinvolti solo il maestro de Regibus ha conservato il proprio incarico, ma il vero cambio è soprattutto di mentalità e nel caso specifico principalmente di gusto musicale.
Sin da subito è chiara l’idea di affidare i lavori di costruzione all’organaro Giuseppe Serassi il quale nella primavera del 1808 propone un progetto dettagliato; si tratta di un grande strumento di 16 piedi a doppia tastiera che sfiora le 2 mila canne al costo di 16.000 lire. Con qualche ritardo il progetto viene approvato con un preventivo ridotto a 14.000 lire; formalizzato in data 19 maggio 1809 e ufficializzato in un Ordinato del 21 maggio.
Il 18 febbraio 1810 l’architetto strambinese Francesco Martelli consegna alla fabbriceria il disegno della cassa, che verrà realizzata dal minusiere Andrea Lasagna. Ai primi di settembre giungono a Strambino per dare inizio al cantiere, Girolamo Melgasada e Francesco Gritti; tutti i materiali componenti lo strumento passano la dogana di Vercelli il 21 ottobre 1810. Nel corso dell’autunno procedono le operazioni di collocazione, contestualmente si pensa ad un primo ampliamento di 6 registri che viene formalizzato in un Ordinato del 26 dicembre. Un secondo ampliamento di 4 registri si materializza poco dopo e viene approvato in un successivo Ordinato del 7 gennaio 1811. La sera del 6 gennaio arrivano Giuseppe e Carlo Serassi (1777-1849); trascorreranno a Strambino più di due mesi. I lavori di accordatura terminano nell’estate del 1812 e il collaudo, affidato all’organista Maestro di Cappella del duomo di Chivasso Francesco Maria Meghnet, avviene 17 settembre 1816.
Nella prima parte del Catalogo degli organi fabbricati da Serassi pubblicato nel 1816, redatto in ordine di dignità, Giuseppe Serassi pone lo strumento al numero 14: «Strambino in Piemonte di Piedi 16 con Principale di 32 a 2 Tastiere»; eccetto l’incongruenza del Principale 32 (riferita peraltro alla presenza di una “finta controttava”), la sostanza di opera monumentale non muta: i suoi 58 registri corrispondenti a 2436 canne lo posizionano – per dimensione – al primo posto nell’intero territorio sabaudo.
L’intervento successivo risale al 1834, quando i Fratelli Serassi – su progetto di Carlo Prola, Maestro di Cappella della cattedrale di Ivrea – oltre ai tipici lavori di restauro, riaccordano lo strumento «… al corista moderno, trovandosi al presente molto basso», estendono a tutti i toni il registro dei Timballi, infine aggiungono «… due nuovi mantici … affine d’avere il vento suscetibile alla nuova intuonazione»; costo totale: 2.200 lire.
Trascorsi una trentina d’anni, la fabbriceria strambinese con l’aiuto del sacerdote organista eporediese Felice Boratti, inizia a pianificare un ampliamento tale da adeguare lo strumento al gusto musicale del tempo; un paio d’anni di studi, progetti e valutazioni, portano l’affidamento della realizzazione ai Fratelli Serassi. I lavori iniziati nel dicembre del 1864 e svolti in completa autonomia dal capofabbrica Prospero Foglia (1825ca–post 1889) e dal fratello Gaetano (1828-?), terminano nel mese di maggio del 1865.
Delle numerose ipotesi in campo, viene preferita la soluzione di conservare i somieri originali; il prolungamento dell’estensione delle tastiere di 7 note (per portare lo strumento a Do6) è realizzato su 2 somieri costruiti appositamente e affiancati agli originali. Il piano fonico subisce alcune modifiche che bene esemplificano la sensibilità musicale dell’epoca: l’eliminazione dei 2 registri di Sesquialtera, l’introduzione del Principale secondo bassi, e dell’Ottavino soprani al Grand’Organo, dei Bassi armonici al pedale; del Flauto in ottava soprani, dell’Oboe 16’ soprani e della Voce Flebile all’Eco; la trasformazione dei Contrabassi I con l’aggiunta di 3 grandi canne di 24 piedi. Infine – dopo una lunga trattativa – l’aumento di 2 registri nei soprani: le Trombe tirolesi di 8’ e di 16’, su somiere proprio a “vento forte” alimentato da 2 mantici appositi e relativi canali.
A lavori terminati – per un costo di 5.700 lire – risultano aggiunte più di 600 canne che consentono al grandioso strumento di sfiorare le 2.900 canne distribuite su 59 comandi. Il collaudo avviene il 7 settembre 1865 dal noto organista Felice Frasi, Maestro di Cappella della cattedrale di Vercelli, che certifica «il grandioso ristauro testè operato al rinomato e veramente classico organo… fu condotto a termine in modo lodevolissimo … colla maggior diligenza e perfezione possibile … ciò che prescrivono le regole dell’arte».
Il 20 luglio 1885 la fabbriceria di Strambino firma con l’organaro Prospero Foglia, già capofabbrica dei Fratelli Serassi, il contratto per il restauro e pulitura dello strumento, contestualmente è previsto l’ammodernamento del sistema di azionamento dei mantici mediante l’aggiunta di «due macchine nutrici a tre pompe». I lavori terminano l’11 ottobre dello stesso anno, con la spesa complessiva di 1.200 lire.
I nuovi orientamenti musicali che caratterizzano il mondo organistico a cavallo del nuovo secolo e che comporteranno il sacrificio della gran parte della produzione organaria coeva, non coinvolgeranno minimamente il magnifico organo di Strambino. Emblematico l’atteggiamento di Giovanni Foglia (1856-1922) chiamato nel 1921 per il restauro dell’organo; nonostante i suoi ideali di convinto “riformatore”, di fronte al capolavoro serassiano scrive: «… richiederebbe una normale riforma eliminando, di conseguenza, la gran parte della materia esistente. Ma considerato che il grandioso strumento gode di pregi, data l’ottima qualità … resta stabilito di eseguire ogni operazione per la sua conservazione nello stato attuale …». I lavori di restauro terminano il 10 ottobre 1921.
Dopo oltre mezzo secolo di ininterrotto funzionamento l’organo è sottoposto a una pulitura nella primavera del 1973 ad opera dell’organaro centallese Carlo II Vegezzi-Bossi (1900-1977); i lavori terminano nel mese di luglio e comportano una spesa di 3.635.000 lire.
Negli ultimi lustri lo strumento ha subito un lento ma costante declino sia a livello fonico, sia a livello funzionale. L’avvicinarsi della V, secolare Incoronazione della Madonna del Rosario ha consentito alla parrocchia – in collaborazione con l’Associazione Salvaguardia Chiese di Strambino – di predisporre un adeguato progetto volto al pieno recupero del prezioso organo. Grazie al contributo della CEI (dai fondi dell’8×1000), della Fondazione CRT e dal generoso concorso della popolazione, i lavori vengono affidati all’organaro torinese Marco Renolfi (1961) che nel mese di marzo del 2017 inizia il restauro con lo smontaggio dello strumento, mentre Paola Ponzetto e Silvia Raio provvedono al restauro della cassa. Tutto il materiale, scrupolosamente riordinato, risulta in perfette condizioni di originalità e conservazione. L’intervento perciò è rimasto circoscritto a una accurata pulitura. Nell’autunno del 2018 il rimontaggio e le operazioni finali di intonazione e accordatura – col ripristino del “vento forte” alle Trombe tirolesi – hanno restituito il grandioso organo Serassi all’originale disegno fonico e alla straordinaria acustica del monumentale tempio.
Adriano Giacometto
Per un approfondimento:
Adriano Giacometto ▪ Il monumentale organo Serassi della chiesa dei Ss. Michele e Solutore a Strambino, Guastalla, Associazione culturale “Giuseppe Serassi”, 2020, (Collana d’arte organaria, lxvii), pp. 176.